"Posta fatta in casa " Gangemi Editore, 1997

Premiazione del progetto per la costruzione del villaggio rurale "La Martella" a Matera. Da sinistra a destra, gli architetti L.Quaroni, F.Gorio, P.Lugli, L. Agati, M. Valori, 1950 (Accademia nazionale di San Luca, Fondo Federico Gorio)

Premiazione del progetto per la costruzione del villaggio rurale "La Martella" a Matera. Da sinistra a destra, gli architetti L.Quaroni, F.Gorio, P.Lugli, L. Agati, M. Valori, 1950 (Accademia nazionale di San Luca, Fondo Federico Gorio)

Posta fatta in casa

di Federico Gorio da rassegna di Architettura e Urbanistica Anno XXXI

"Ebbene, nel caso nostro, della sensibilità e della finezza con cui il montaggio di questa opera è stato realizzato va dato atto alla signora Valentina Tonelli Valori, alla quale dobbiamo esser grati per l'abilità e il sentimento con cui ci ha offerto questo prezioso e toccante elzeviro". (Federico Gorio)


E' stata presentata in questi giorni, presso la libreria Gangemi che ne è l'editrice, una raccolta, a cura di Valentina Tonelli, di scritti memorialistici di Michele Valori, dal titolo semiserio di “Posta fatta in casa” tratto dall'indirizzo sulla busta di una lettera che l'autore inviava alla figlia primogenita, a quella data ancora piccolina.

A nostro avviso, il dire che queste pagine (poco più di cento) sono la testimonianza di un'epoca della nostra letteratura è dire poco; e vorremmo, se ci riesce, spiegare perché. Forse, a chi si fermasse alla lettera di queste eterogenee pagine di diario, il tono soffuso di sottile ironia che pervade tutto il testo e in un certo senso conferisce a questo unità formale e stilistica, potrebbe dare dell'opera la superficiale impressione, spiritosa quanto si voglia, di uno scherzo estemporaneo; e qualche strisciante conferma di questa possibilità l'hanno data alcuni interventi della tavola rotonda tenutasi in occasione della presentazione del libro.

Ma, per la stima che abbiamo dei nostri lettori, scartiamo questa ottusa ipotesi, perché il libro è ben altra cosa e diciamo subito che la lettura di un testo così pregnante e poliedrico è tutt'altro che facile. Già in una delle tre prefazioni al volume è dato un giudizio forte e centrato: “Pagine così limpide – dice Masolino D'Amico – nei nostri anni le troviamo di rado”. Chi si aspettasse, avendo in mente quel che si conosce dell'opera progettuale e didattica dell'autore, chi si aspettasse, dico, una delle solite rassegne di immagini più o meno riuscite di architetture più o meno significanti, sarebbe del tutto fuori strada, perché qui l'architettura è, si, una presenza immanente, ma non espressa se non in pochi fuggevoli accenni.

Non è un libro semplice, né un libro di architettura, no; questo è un libro esistenziale; esso è un monologo che nell'insieme esprime, superando i limiti autobiografici, il senso che la nostra esistenza dovrebbe infondere al suo produrre, come proprio messaggio culturale e spirituale alle generazioni avvenire. Badiamo bene, quando parliamo di esistenza non ci riferiamo alle diverse correnti filosofiche di quel pensiero, non abbiamo in mente un esistenzialismo acre alla Sartre, né uno concettuale e sistemico alla Jaspers o alla Heidegger. Piuttosto ricorderemmo un Berdiaeff, per quella dominante ricerca, presente in ogni pagina del Valori, per quella sua sofferta ricerca di dare un significato trascendente al rapporto quotidiano fra l'io e gli altri, e, tentando in sé stesso di risolverlo, lui profondamente religioso, con l'assegnare alla fede il compito di nobilitare il fare e l'essere quotidiano.

Ci torna in mente, a questo proposito, una delle sue micidiali battute; avendo subita una sera a cena, l'interminabile dichiarazione di voto di un collega sul proprio infallibile e perentorio modo di agire e di produrre nel concreto, Michele se ne uscì, un po' spazientito, con questo congedo: “Beato te che sei un uomo tutto cose!” e aveva accompagnato la frase col gesto di chi spreme un limone, sinteticamente esprimendo il proprio innato e intimo disgusto verso l'aridità di ogni efficientismo materialistico.

In sintesi, ritornando al nostro testo, siamo convinti che esso debba essere, più che letto, assimilato nella molteplicità dei suoi significati, come monito ed esempio di una attitudine umanamente impegnata a dare dignità e pienezza alla propria esistenza. E qui occorre esplicitare un pensiero, implicito, non solo in quanto si è detto fin qui, ma anche in quanto emerge dalla lettura delle introduzioni e delle chiose al testo, al di là del senso di commozione che si prova nel leggere queste pagine, ritrovando vivo e presente l'amico e il compagno di tante esperienze ormai lontane. E' in nuce il pensiero che questa breve ma sostanziosa opera ci assegni in modo fermo un serio impegno futuro. Mi spiego meglio: i sentimenti che l'opera suscita in noi, unica nel suo fascino emotivo, sono – è vero – la misura del suo valore letterario e umano: ma denunciano anche un incomprensibile silenzio calato, con la sua vita stroncata, su quanto Michele ci ha trasmesso coi linguaggi del suo mestiere; una produzione a cui la pienezza e al tempo stesso la macerazione del suo essere persona fa da sottofondo e ha fatto da stimolo al suo lavoro; parlo in particolare del suo operare nei campi dell'architettura e dell'urbanistica.

Se le cose si limitassero a questa breve per quanto sostanziosa edizione, la nostra commozione di oggi scadrebbe nella contingenza, nella precarietà del momentaneo e dell'effimero, in una parola, nel fatto di cronaca. Invece, il valore esistenziale di queste sue note, costituisce la fondazione su cui egli ha impostato la sua produzione. Esso ci aiuta ad afferrarne a fondo la portata e costituisce la premessa a un discorso storico-critico tutto da costruire, derivato da una attenta rilettura delle sue opere specifiche per coglierne il significativo messaggio generale. Dagli anni della sua prematura scomparsa, il campo dell'architettura è stato allagato da fiumi di parole e infestato da mode effimere. Quella da Lui vissuta e da Lui degnamente alimentata è stata un'epoca di notevoli riflessioni e di significativi risultati. Siamo grati al nostro indimenticabile amico di averci, con questa sua opera apparentemente modesta e sommessa, richiamati all'esigenza di un lavoro di rilettura comparata del nostro passato.

Per concludere, ricordiamo di Lui un progetto rimasto sulla carta; si tratta del progetto, da Lui personalmente ed esclusivamente studiato, per la chiesa del Borgo rurale di Torre Spagnola a Matera. Di quel borgo qualcuno di buona memoria ricorderà la planimetria e una prospettiva a quei tempi pubblicata da “L'Architettura”; ma la chiesa, sepolta negli archivi, nessuno la conosce. A nostro avviso quel progetto è un autentico capolavoro di architettura, pregnante di quella trascendenza che Egli dichiarava di voler perseguire. Non lasciamo che questi magistrali esempi restino a ingiallire abbandonati su polverosi scaffali!

Prima di chiudere questa recensione, riteniamo doveroso accennare ad un ultimo fatto a latere, sul modo in cui questi scritti memorialistici sono stati ordinati e presentati. Detto in modo un po' semplicistico, ogni classico brano di musica è il risultato del lavoro di cucitura di diversi temi e relative elaborazioni, grazie al quale ne risulti alla fine un insieme unitario che ha ragione d'essere per la logica sequenza e coerenza delle sue parti. Ebbene, nel caso nostro, della sensibilità e della finezza con cui il montaggio di questa opera è stato realizzato va dato atto alla signora Valentina Tonelli Valori, alla quale dobbiamo esser grati per l'abilità e il sentimento con cui ci ha offerto questo prezioso e toccante elzeviro.